RAFFAELE DI MURO OFMCONV
In questo contributo tratterò il tema delle stimmate, un argomento di grande attualità e di notevole interesse, vista l’originale fenomenologia che comporta: chi sperimenta questa condizione della vita mistica reca nel proprio corpo i segni della passione e della morte di Cristo. In particolare, mi propongo di evidenziare quando detto evento straordinario può definirsi autentico, sotto il profilo della dottrina cristiana nonché nell’esperienza dei santi canonizzati, e quali sono le implicazioni teologiche legate al suo manifestarsi. Negli ultimi anni il medico cristiano Paolo Maria Marineschi ha realizzato studi profondi e di notevole spessore sotto il profilo scientifico e la sua opera sarà molto preziosa per questo articolo. Le sue osservazioni, soprattutto di carattere clinico, vanno ad arricchire ed illuminare quanto la teologia tradizionale esprime su detta delicata materia, in modo specifico attraverso le paradigmatiche formulazioni di Antonio Royo Marin, pure opportunamente ospitate nel presente lavoro.
Le stimmate sono «alterazioni cutanee, variabili secondo i soggetti, ma localizzate prevalentemente alle mani, ai piedi, all’emitorace, alla testa e al dorso delle spalle, […] ferite apparse spontaneamente come a riprodurre il quadro lesionale del Cristo, prima torturato e poi Crocifisso»[1].
A mostrare questi segni è stato anzitutto il Signore nel momento in cui si è mostrato risorto ai discepoli dopo la morte: essi hanno potuto ammirare e toccare le trafitture della passione. La stimmatizzazione è, infatti, l’apparire dei segni della sofferenza e della morte di Gesù, lì dove è stato ferito, secondo i racconti del Vangelo. Storicamente il primo ad aver sperimentato questo fenomeno è stato san Francesco d’Assisi sul monte della Verna nel 1224. Dopo di lui ci sono stati molti stimmatizzati, i più noti dei quali sono senza dubbio Pio da Pietrelcina e Veronica Giuliani, entrambi francescani di estrazione cappuccina. Talvolta queste ferite, la cui profondità e il cui sanguinamento variano da caso a caso, sono parziali (cioè non in tutte le superfici in cui il Cristo è stato colpito), come è accaduto a Rita da Cascia, che ha mostrato una ferita all’altezza della fronte, vale a dire dove al Signore è stata collocata la corona di spine[2].
Queste lesioni appaiono spontaneamente, senza alcun intervento esterno, e spariscono senza lasciare traccia di sorta, cioè in assenza di alcuna causa plausibile in entrambi i casi. Dopo un sanguinamento abbondante, si formano croste che vanno a ricoprire la lesione e ciò è un fatto normale. Quello, invece, che sorprende gli studiosi è il fatto che le stimmate non sono determinate da un’abrasione o da un trauma e che, quando si ritirano, lasciano il corpo libero e senza residui: non ci sono tracce della loro esistenza e del sangue da esse sgorgato: anche ciò non è clinicamente possibile e costituisce pertanto un fatto eccezionale[3].
Lungo i secoli la stimmatizzazione ha interessato molte persone caratterizzate da differenti stati di vita, diverse età, molteplici carismi e varie provenienze geografiche: tutto ciò porta a concludere che non vi sono tipologie di figure legate a questo genere di manifestazione mistica. Ciò che accumuna tutti questi personaggi, molti dei quali sono santi canonizzati dalla Chiesa, è senza dubbio l’intensità del loro trasporto verso la kenosi del Signore e il suo donarsi per la salvezza dell’umanità[4].
Tra questi santi ricordiamo ad esempio, oltre quelli già citati, Caterina da Siena e Gemma Galgani: si tratta di credenti che esprimono una spiritualità di poderoso spessore. Accanto a loro vanno menzionate persone stimmatizzate meno conosciute, le quali destano comunque attenzione ed interesse a causa dell’ordinarietà della loro vita. Ciò testimonia che le stimmate rappresentano un fatto che riguarda anche i laici di qualunque provenienza e di ogni età[5].
Questo fenomeno mistico è generalmente accompagnato da quello estatico. «Per estasi si deve intendere la condizione in cui si trova l’uomo quando trasferisce in Dio tutte le sue facoltà intellettive, volitive e sensitive. L’esperienza divina è così forte da investire sia il corpo che l’anima. Tuttavia, in questi casi, soprattutto nei processi di canonizzazione, la Chiesa mostra una certa prudenza in ragione del fatto che questi fenomeni hanno immediata causalità in Dio. Il credente è inondato di indicibile gioia ed è, per grazia divina, posto nello stato di sperimentare una comunione con il Signore, da definirsi ineffabile e particolarmente profonda. Non si tratta di una situazione alienante per l’uomo, il quale, al contrario, è esaltato, in virtù del coinvolgimento dell’intelletto e della volontà. Questo tipo di manifestazione indica che ci troviamo al cospetto di un cammino spirituale pervenuto a livelli molto alti»[6].
L’estasi degli stimmatizzati ha due elementi costitutivi: la contemplazione di realtà soprannaturali coerenti con la rivelazione cristiana e legate profondamente alla kenosi del Signore e la manifestazione di ferite – quelle della passione appunto – inspiegabili scientificamente. Soggettivamente chi sperimenta questi eventi eccezionali mantiene la lucidità e la consapevolezza di quanto accade. Si tratta della “trasformazione in Cristo” del mistico, una metanoia pienamente inserita nella tradizione teologico-spirituale occidentale ed orientale. Ad esempio, Caterina da Siena sperimenta prima la visione del Crocifisso, verso il quale sente un indicibile e struggente amore, per poi trovarsi piagata proprio come lui: si tratta di una fenomenologia tipica, condivisa da quanti hanno vissuto questo tipo di evento mistico, pur con sfumature talvolta differenti[7].
Royo Marin evidenzia che la stimmatizzazione, oltre ad essere “accompagnata” dall’estasi, è caratterizzata da indicibili sofferenze di natura fisica e spirituale. Anzi, questa condizione di dolore è addirittura costitutiva nella dinamica dell’apparizione delle stimmate, visto che se dovesse essere assente, autorizzerebbe ad avere seri dubbi sull’autenticità del fenomeno[8].
La stimmatizzazione può essere riprodotta per cause non dipendenti da un progetto di Dio, ma da situazioni legate a patologie o ad interventi del nemico. Una considerazione attenta va fatta a proposito dell’autenticità di questo fenomeno per poter comprendere quando è possibile parlare della sua oggettiva provenienza divina. Anzitutto, ciò che prova che siamo realmente al cospetto di un mistico è la levatura spirituale della sua vita: più essa è matura e profonda, più si prova la bontà di questa manifestazione eccezionale. La qualità dell’esistenza cristiana degli stimmatizzati è la cartina di tornasole della veridicità circa lo straordinario che li caratterizza: si tratta di una prima norma importante legata al buon senso, determinato dalla lettura di quanto figure riconosciute e conclamate dalla Chiesa hanno sperimentato: vi è tutta una casistica che fa parte di una consolidata tradizione e deve essere un necessario punto di riferimento per un corretto discernimento[9].
Il vissuto teologale degli stimmatizzati depone favorevolmente circa la bontà del loro cammino mistico: i segni che essi recano sul loro corpo sono il frutto di un percorso di santità di elevato spessore e significatività. La dimostrazione della loro esistenza santa garantisce l’autenticità delle stimmate e di tutto il loro itinerario spirituale, che ha raggiunto livelli ragguardevoli. Senza alcun dubbio, si può affermare che è la vita interiore ed apostolica di chi reca queste ferite, il banco di prova per eccellenza per valutarne l’origine soprannaturale e divina. In particolare, la qualità della preghiera ed il desiderio di contemplare Cristo nei misteri della passione e della morte costituiscono una dimensione imprescindibile circa la bontà di detto fenomeno mistico[10].
Sotto il profilo squisitamente clinico, è ormai opinione diffusa tra gli studiosi che la stimmatizzazione deve avere caratteristiche ben precise perché possa avere i crismi dell’autenticità. Infatti, le lesioni devono comparire in modo istantaneo e profondo per poi sparire in modo altrettanto istantaneo e senza il concorso di cause esterne che possano dare una plausibile spiegazione scientifica. Inoltre, esse generalmente profumano intensamente, secondo l’esperienza di tanti mistici convalidata dalla Chiesa. Infatti, se il presunto mistico dovesse procurarsi ferite artificialmente o mostrasse abrasioni che possono essere dovute a cause naturali farebbe sorgere dubbi importanti. Se le ferite non sanguinassero, non si infiammassero continuamente e non fossero odorose, genererebbero senz’altro perplessità perché potrebbero avere una causa plausibile e non soprannaturale. In sostanza, più le lesioni hanno caratteristiche naturali, più c’è da presumere che siano determinate dallo stesso individuo oppure hanno origini diaboliche[11].
In definitiva, la prova di autenticità delle stimmate è data da questi due fattori: la santità di vita dello stimmatizzato e l’inspiegabilità scientifica della loro comparsa. Si tratta delle due dimensioni fondamentali necessarie per fare discernimento in questo genere di manifestazione: l’eccellenza della spiritualità della persona e la fenomenologia insolita delle lesioni corporee sono gli aspetti che vengono analizzati da teologi e medici per poter acclarare la verità[12].
La stimmatizzazione si inserisce normalmente in una spiritualità “vittimale”, cioè in un vissuto interiore in cui è costitutiva la vocazione ad essere “vittima” in unione con Cristo, a favore di tutta l’umanità. Infatti, alcuni cristiani ricevono da Dio la speciale chiamata ad offrire le proprie sofferenze per intercedere per quei fratelli e quelle sorelle che vagano nell’errore e nel peccato, sperimentando un’evidente lontananza dalla misericordia divina. Si tratta di un cammino di fede caratterizzato da una profonda unione con il Crocifisso, una comunione totalizzante che conduce ad una vera e propria immolazione a beneficio di coloro che non godono di una condizione di grazia. Si tratta di una profonda conformazione a lui costituita da due dinamiche: la prima è rappresentata da un indicibile amore nei suoi confronti; la seconda è caratterizzata dal desiderio di donarsi totalmente ed incondizionatamente per la salvezza dei fratelli[13].
L’essere vittima vuol dire «partecipare al potere salvifico di Cristo che ha la potenzialità di salvare tutti; ma tale potere può essere esercitato solo da chi ama come lui e cioè accetta, per ubbidienza al Padre e per il bene dell’altro, di condividere, in Cristo stesso e ad imitazione di Cristo, la totale condizione di chi deve essere salvato»[14]. Ciò «non significa condividere il peccato, cioè il rifiuto di Dio, ma sperimentarne misteriosamente le conseguenze al fine di redimere ogni condizione di assenza di Dio, per mezzo dell’amore e dell’affidamento a Lui che solo è in grado di trasformare la morte in vita e la dannazione in salvezza»[15].
L’amore per Gesù ed il desiderio di conformarsi a lui si accentuano attraverso la contemplazione dei misteri della sua passione e della sua morte. Qui il mistico comprende che amare il Signore vuol dire compatire e donarsi con lui e come lui. Le sofferenze del Cristo vengono così interiorizzate e portate nella propria personale esperienza di fede e di dono di sé. Si tratta di una vera e propria vocazione data ad alcuni, chiamati a rendere la propria oblatività conforme a quella del Redentore[16].
A tal proposito, Marianeschi rileva: «Per quanto riguarda l’amore personale a Gesù Cristo, ci sembra di poter notare che esso sia una costante di grande rilievo, quasi una condizione necessaria previa al verificarsi dell’evento cruento crocifiggente. Questo amore, non di rado, si esprime con i toni di una familiarità e confidenza sorprendenti ed anche sconcertanti. Nella letteratura specializzata si tende a definire il rapporto amoroso ricorrendo alle categorie filiali e sponsali, soprattutto nel caso di mistici di sesso femminile; ma a nostro parere, questo tentativo definitorio può risultare addirittura riduttivo, se si tiene presente la molteplicità di rapporto amoroso che il legame con Cristo raggiunge in questi soggetti»[17].
Contemplare la kenosi del Signore vuol dire, secondo l’esperienza spirituale di molti mistici, scoprire la vocazione ad essere conformi a Cristo che si dona per il bene e la salvezza dell’umanità. Meditare ciò che il Crocifisso ha sperimentato si traduce in un amore talmente intenso da generare la necessità urgente ed impellente di donarsi secondo il Suo stile, cioè con un’oblatività che solo la condizione vittimale può soddisfare. Si tratta di un’esperienza vissuta dagli stimmatizzati, persone in cui le ferite portate sul corpo sono la conseguenza di una specifica chiamata di Dio, caratterizzata dal generoso dono di sé mediante le dimensioni del dolore e della sofferenza[18].
Al termine di questo contributo, si può affermare che le stimmate rappresentano una realtà strettamente insita nella spiritualità di chi le porta sul proprio corpo. Esse sono, infatti, il segno e la conseguenza di un vissuto interiore nel quale il mistico vive il suo percorso di fede all’insegna della conformazione profonda a Cristo, fino ad “identificarsi” con lui nella dimensione del totale dono di sé sulla croce. Lo stimmatizzato segue le orme del Signore, “Agnello immolato”, che offre se stesso per la salvezza dell’umanità, una umanità, soprattutto quella lontana da Dio, verso la quale si sente profondamente solidale e unito. Il dono delle stimmate è indice di una oblazione vittimale nella quale l’uomo e la donna di Dio si uniscono profondamente all’offerta del Signore a favore dei fratelli e delle sorelle immersi nel peccato. La santità della vita e la matrice soprannaturale (scientificamente accertata) delle cause garantiscono l’autenticità e la bontà di questo fenomeno mistico, che ha molti e significativi precedenti nella storia della spiritualità cristiana.
[1] P. M. Marianeschi, Stimmate in «Nuovo Dizionario di Mistica», Libreria Editrice Vaticana, Roma 2016, p. 2020.
[2] Ivi, p. 2021.
[3] Ivi, p. 2023.
[4] Ivi, pp. 2020-2021.
[5] Ivi, pp. 2022.
[6] R. Di Muro, Temi di vita spirituale. Dinamiche e componenti della santità, Miscellanea Francescana, Roma 2020, p.174.
[7] P. M. Marianeschi, Stimmatizzazione somatica. Fenomeno e segno, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 55-59.
[8] A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 1987, p. 1093.
[9] Ivi, pp. 1098-1099.
[10] P. M. Marianeschi, Stimmatizzazione somatica, cit. pp. 108-109.
[11] Ivi, pp. 114-115.
[12] A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, cit. 1099-1100.
[13] P. M. Marianeschi, Stimmatizzazione somatica, cit. pp. 64-65.
[14] Ivi, p. 73.
[15] Idem.
[16] Ivi, p. 67.
[17] Ivi, p. 65.
[18] Ivi, pp. 68-69.